Il futuro del supporto clienti: il supporto ibrido

Con l’hype che si è generato intorno all’intellienza artificiale, è facile pensare che il futuro del supporto clienti sia quello di un dipartimento totalmente automatizzato, gestito dall’inzio alla fine dall’AI. Gli esseri umani non dovranno mai più gestire o leggere un ticket.

Ma la realtà dei fatti è diversa: quello che stiamo vedendo, con la tecnologia attuale, è la nascita di un supporto ibrido. L’intelligenza artificiale non sostituisce l’agente umano, ma lo aiuta e lo supporta per:

  • Ridurre gli errori.
  • Fornire risposte precompilate che un agente deve solo rivedere e approvare, invece che scrivere da zero.
  • Ricercare e riassumere materiale, guide e manuali che l’agente può utilizzare per fornire una risposta complessa più velocemente (ad esempio per richieste commerciali).

In questo articolo andiamo a vedere il futuro dell’AI nel supporto clienti, e come questa tecnologia si integrerà nel breve termine nel supporto di tutti i giorni.

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Il problema di ChatGPT

ChatGPT è l’AI più famosa al mondo. Usando la tecnologia dei Large Language Model (LLM), ha fatto capire al mondo che l’era dell’AI è arrivata.

Ma con tutti i titoli sensazionalistici che girano attorno all’AI, si è perso di vista il punto più importante: quali sono le capacità e i veri limiti della tecnologia?

Chi non ha mai provato l’AI, o ci ha giocato solo per poco tempo, può avere un’idea distorta di come funzioni questa tecnologia.

Da una parte, è eccezionale. Può assimilare un manuale di 1000 pagine in pochi secondi. Conosce più cose di qualsiasi essere umano al mondo. Riesce a interpretare e riassumere informazioni a ritmi superumani.

Ma ha anche dei limiti. A volte si perde in un bicchiere d’acqua, e commette errori grossolani.

Per questo ChatGPT non può essere usato, per conto suo, come unico agente del supporto clienti.

Perché usare l’AI per il supporto clienti?

Chiunque abbia provato ChatGPT può vedere i benefici di un’AI nel supporto clienti: conversazioni naturali, risposte istantanee, disponibilità 24/7.

Non siamo di fronti agli odiosi chatbot di una volta, quelli con risposte precompilate e che non capiscono una ceppa di quello che serve realmente. Quelli, ormai, non hanno più senso di esistere.

Un’AI può rispondere efficacemente a tanti tipi di richieste:

  1. FAQ: domande la cui risposta è presente nel centro assistenza, ma il cliente sceglie comunque di contattare il supporto clienti.
  2. Stato della spedizione: una delle domande più frequenti negli e-commerce, la risposta a questo tipo di domande può essere trovata o nel centro assistenza (per domande generiche), o con una chiamata API allo spedizioniere (per domande sulla singola spedizione).
  3. Magazzino: così come per le domande sulla spedizione, la disponibilità di un certo prodotto può essere controllata con una semplice chiamata API.
  4. Manualistica: un’AI può leggere e “memorizzare” un manuale in pochi secondi, così da poter rispondere a domande specifiche di assistenza tecnica più efficacemente di un essere umano.

Nella maggior parte dei casi, quando un’AI di assistenza clienti funziona bene, un cliente non si rende nemmeno conto di non stare parlando con un essere umano. Ma il problema è proprio lì: quando funziona bene.

Il sistema ibrido serve proprio ad evitare che quei casi in cui l’AI non funziona bene arrivino di fronte al cliente.

Perché un approccio ibrido?

Il modo migliore di vedere un’AI nel supporto clienti non è come un sostituto superiore all’essere umano. Ma come un software totalmente diverso, con i suoi punti di forza e debolezza.

Da una parte, l’AI può gestire con semplicità e velocità casi che a un essere umano prenderebbero tanto tempo O che non potrebbe gestire bene. Ad esempio, rispondere a una domanda la cui risposta è dentro a un manuale tecnico di 500 pagine. Difficile e laborioso per un essere umano, banale per un’AI.

O l’onboarding. Che per un essere umano può richiedere diverse settimane, mentre un’AI completa istantaneamente.

Ma ci sono altri settori in cui avviene il contrario: l’AI si perde in compiti banali per un umano.

I limiti di un’AI

Andare fuori contesto

Il limite più grande di un’AI è un limite che condivide con qualsiasi altro software: non è in grado di fare quello per il quale non è stata programmata.

Il che può sembrare strano. Alla fine, vado su ChatGPT, gli chiedo qualsiasi cosa, e risponde. Magari non benissimo, ma risponde.

Il problema però non sta lì, ma nell’integrazione con altri strumenti.

Ad esempio, il confronto prodotti: un cliente manda un’email, e chiede la differenza tra prodotto X e prodotto Y.

Questo può essere gestito da un’AI, teoricamente: basta prendere le schede prodotto, e confrontarle. Ma se non abbiamo implementato questa integrazione, non saprà rispondere.

Informazioni dinamiche

I modelli di intelligenza artificiale non hanno accesso a internet. Con qualche eccezione, che però non può essere integrata in strumenti esterni come EdgarBot.

Per questo, uno dei compiti più importanti di EdgarBot è quello di dare all’AI i dati di cui ha bisogno per rispondere bene.

In caso di informazioni statiche, che cambiano poco, non è un problema: si carica un database, ed è fatta.

Diventa più complesso quando si parla di informazioni dinamiche, come le informazioni di magazzino o stato di spedizione.

In questo caso, serve un’integrazione API ad-hoc: quindi EdgarBot deve connettersi a un server esterno e richiedere le informazioni.

Può essere fatto, ma ogni caso va gestito a sé. Mentre un essere umano può essere istruito in poco tempo con una procedura, istruire un’AI richiede un programmatore.

L’investimento può avere senso in certi casi: una volta creata l’integrazione, un’AI risponderà più efficacemente di un essere umano. Quindi per casi in cui il volume di richieste è alto, l’integraizone API ha senso.

Ma per richieste ultra-specifiche che arrivano una volta ogni morte di papa, è più efficiente lasciare all’essere umano l’onere di rispondere manualmente ogni volta.

Informazioni inventate

Spesso chiamate “allucinazioni”, a volte l’AI si inventa di sana pianta certe informazioni.

La spiegazione è molto tecnica, e si tratta in sostanza di un artefatto del modo in cui un LLM (il nome della tecnologia che sta dietro a GPT e simili) risponde.

Per riassumere un processo complesso, l’AI è addestrata per rispondere sempre con un sistema “sì e”: da per buono quello che dice un utente, e cerca di continuare la conversazione esaudendo le sue richieste.

Quindi se l’utente chiede “quali sono i termini di spedizione?” e l’informazione è nel database dell’AI, è facile: risponderà con l’informazione giusta.

Ma se l’informazione non è nel database, l’AI cercherà comunque di rispondere: se nella base dati usata per addestrare il modello i termini di spedizione più comuni sono “spedizione in 3 giorni in tutta Italia a 5,99€”, allora risponderà così anche se quest’informazione non è presente da nessuna parte nel database.

Uno dei lavori principali che abbiamo fatto con EdgarBot è di eliminare le informazioni inventate, e di istruire l’AI a rispondere solo quando un’informazione è presente nel database.

Ma dei falsi negativi capitano: a volte il nostro sistema di protezione sbaglia, e l’AI risponde inventandosi un’informazione. Succede raramente, ma succede a qualsiasi sistema di supporto clienti AI esistente al mondo: l’AI semplicemente non è ancora al livello di non sbagliare mai.

In questi casi, serve che ci sia un essere umano pronto a cogliere l’errore, spesso ovvio, e correggerlo.

Come usare l’approccio ibrido

Per questo EdgarBot non risponde mai direttamente al ticket del cliente, ma mette una risposta in bozza in attesa dell’operatore.

Nel chatbot che stiamo sviluppando, prima di tutto comunichiamo chiaramente al cliente che sta parlando con un’AI, e quando EdgarBot si rende conto di non poter rispondere, passa il ticket a un agente umano.

Ed è qui che l’approccio ibrido diventa fondamentale: l’AI può velocizzare di dieci, venti volte la risoluzione dei ticket. Ma l’essere umano è ancora fondamentale per monitorare le risposte dell’AI e risolvere quei pochi ticket che il sistema automatico non può gestire.

Nell’approccio ibrido l’agente umano non è più un “agente” in sé, ma un supervisore, un “manager di AI” che monitora l’operato dell’intelligenza artificiale e interviene solo quando necessario. Ossia quando capita un caso in cui l’AI non sa rispondere, o si inventa qualcosa.

Conclusione: come l’AI cambierà il ruolo dell’agente

La naturale conclusione di questo approccio ibrido è il cambio del rulo del’agente.

Invece di un elevato numero di agenti che rispondono manualmente ai ticket, basteranno pochi agenti, altamente specializzati, che supervisionano l’operato dell’AI e intervengono solo quando necessario.

Questo permetterà, da una parte, all’azienda di risparmiare sui costi. E dall’altra, di fornire un supporto clienti di qualità più elevata grazie al fatto che l’AI colma i difetti dell’essere umano, e vice versa.

Ma questo significa che anche i clienti inizieranno ad aspettarsi un livello di supporto sempre migliore.

Un e-commerce che vuole rimanere competitivo dovrà migliorare ancora di più il livello di servizio, o verrà lasciato indietro dai concorrenti.

La buona notizia è che migliorare il servizio non richiederà di spendere di più. Non solo l’AI migliora la qualità del supporto, ma riduce anche i costi. Quindi oggi non c’è veramente nessuna scusa per non iniziare a pensare a integrare un’AI nel supporto clienti.

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